Ma Steve e Bucky non hanno intenzione di
starsene con le mani in mano.
VIRUS LETALE
Di
Carlo Monni & Carmelo
Mobilia
New York. Nel
sottosuolo del 760 United Nations Plaza.
Steve Rogers percorreva il canale fognario, con in mano una torcia e una misteriosa valigetta. Indossava l’auricolare che lo teneva in contatto con Nick Fury che si trovava chissà dove.
<Ok Nick, sono nel punto stabilito.>
<<Bene. Alla tua destra troverai quella che sembra una centralina
elettrica fuori uso. Dietro quella parete c’è un’entrata segreta che ti
permetterà di accedere al vano ascensore. Ti aspetta una bella arrampicata, una
volta lì...>>
<Non preoccuparti, sono attrezzato. Amadeus mi ha fornito tutto il necessario.>
<<Avevi ragione sui prigionieri. Come t’è venuto in
mente?>>
<Te lo ricordi il generale Sato?>
<<Come no. A Iwo Jima.>>
<Esattamente. Come sai, alcuni soldati continuarono a combattere per diversi mesi anche dopo che conquistammo l’isola. Ci scontrammo contro un intero plotone di giapponesi, che però si arresero quasi immediatamente.>
<<Soldati giapponesi arrendevoli? Mi puzza ...>>
<Sì, anche a me, ma al comando erano tranquilli, sostenevano che il nemico avesse il morale sotto i piedi e che per loro era comprensibile che avessero smarrito il loro spirito combattivo. Volevo interrogarli, ma mi dissero che non era il caso, che non c’era bisogno che il Supersoldato restasse nel Pacifico, e mi diedero l’ordine di tornare in Europa. Ora, non chiedermi come, ma Sato fece impiantare chirurgicamente delle bombe radiocomandate nel costato dei suoi uomini, e una volta alla base li fece saltare per aria.>
<<Capisco. E il comportamento dei tre nostri prigionieri ti ha
fatto suonare qualche campanello.>>
<Precisamente.
Quando Sharon mi ha chiamato, ero quasi arrivato alle sue stesse
conclusioni.>
<<Ok, ho disattivato il protocollo di sicurezza.
Una volta arrivato al piano, potrai accedere al palazzo forzando la porta
dell’ascensore, senza preoccuparti di finire arrosto.>>
<D’accordo
Nick, grazie. Appena gli metto le mani sopra, preleverò un campione di sangue
da uno di quei bastardi, poi lo manderò ai tuoi laboratori per ricavarne una
cura.>
<<Fa attenzione, Testa Alata.>>
<Non devi più
chiamarmi in questo modo, lo sai ... non indosso più il cappuccio> disse
Steve, sorridendo.
<<Hai ragione, ma è come fumare: un
vizio che non riesco a togliermi. Quando parlo per radio con te non riesco non
pensare ai vecchi tempi ...>>
<Sei un
inguaribile nostalgico, Fury ...>
<<Succede, alla nostra età. Buona
fortuna. Chiudo.>>
Steve indossò dei guanti
speciali, per evitare di venire contaminato tramite contatto, e una sofisticata
maschera antigas che oltre a proteggerlo da agenti esterni, tramite la sua
visiera gli permetteva la visuale ad infrarossi e la rivelazione di fonti di
calore; in questo modo, sarebbe riuscito a localizzare i suoi obiettivi.
Grazie ad delle
speciali elettrocalamite, Steve si arrampicò lungo il vano ascensore.
Altrove, non molto
distante.
Se si fosse
fermato a rifletterci su, James Buchanan Barnes, altrimenti noto come Bucky o
Soldato d’Inverno, non avrebbe mai tentato quell’impresa, ma era un impulsivo ,
un difetto che Steve gli aveva rimproverato spesso: impulsivo e testardo, una
vera miscela per il disastro. Sorrise brevemente, poi il suo pensiero corse al
suo braccio sinistro, o meglio, alla protesi bionica che lo sostituiva: il
segno vivente di cosa poteva portare la sua tendenza a rischiare troppo.
Scacciò i cattivi
pensieri e si concentrò sulla missione. Quando era stato messo in ibernazione
per l’ultima volta non esistevano né lo S.H.I.E.L.D. né, tantomeno, il palazzo
che ne ospitava il quartier generale. Ma Bucky era uno studente che si
applicava molto (affermazione che avrebbe fatto ridere i suoi vecchi professori
a Camp Lehigh, ne era sicuro) e nello specifico aveva studiato sia la pianta
del palazzo che posti che non comparivano sulle mappe. Non erano in molti a
saperlo, ma nel sottosuolo di Manhattan esisteva una sorta di parallela città
sotterranea: edifici in solida muratura collegati da un reticolo di tunnel. Era
parte di un progetto di sopravvivenza ad una guerra nucleare iniziato negli
anni 50. Col tempo la paranoia scemò ed il progetto venne abbandonato e, come
spesso accade quando c’è di mezzo la burocrazia, dimenticato.
Il luogo, però,
non rimase deserto a lungo: quello che è inutile per qualcuno può essere
importante per qualcun altro dopotutto. I tunnel vennero occupati dai reietti
della società: una comunità di mutanti ai livelli inferiori ed una di
senzatetto a quelli superiori. In
passato Nick Fury aveva utilizzato i collegamenti tra i tunnel e la rete
fognaria per sfuggire alla caccia dei suoi stessi agenti che lo credevano un
traditore[1]
ed era l’unico a conoscere il modo di entrare nel palazzo attraverso quei
collegamenti… o così credeva.
Mentre il suo
mentore entrava da un passaggio, Bucky ne aveva utilizzato un altro grazie a
quel che rimaneva di una vecchia postazione sovietica per spiare l’ONU, un
altro relitto della Guerra Fredda. Nick Fury sarebbe rimasto inorridito nel
sapere con quanta facilità il Soldato d’Inverno aveva superato i codici di
sicurezza ed era entrato nel palazzo, ma non era detto che dovesse saperlo.
A differenza di
Steve, Bucky non aveva alcuna protezione contro qualunque cosa i suoi tre
bersagli avevano intenzione di scatenare o avevano già scatenato nel palazzo,
ma non gli importava: doveva trovare il suo uomo, quello che sospettava
chiamarsi Ghaznavi, doveva sapere in che modo gli aveva rovinato la vita e
rimediare al danno fatto.
All’interno
del Palazzo dello S.H.I.E.L.D.
Steve Rogers non era uno spaccone, ma l’abilità con
cui riusciva a compiere un’arrampicata di cinque piani senza sudare gli avrebbe
permesso di pavoneggiarsi e suscitare l’invidia di molti appassionati di free
climbing. Arrivò in men che non si dica al quinto piano e il suo visore a raggi
infrarossi gli mostrò la sagoma di un uomo in piedi nel corridoio oltre le mura
davanti a lui. Infilò le dita nella fessura, i suoi muscoli da supersoldato si
tesero e aprirono le porte dell’ascensore. Quando vide tutte quelle persone
stese a terra, prive di vita, la rabbia lo assalì. Erano perlopiù impiegati,
non agenti operativi. Quel massacro era stato insensato e crudele ... ma
d’altronde, quale non lo è? Steve percorse il corridoio in cerca dell’uomo che
aveva compiuto quella strage. Lo riconobbe subito, era l’uomo che aveva
catturato, Manuel Caballero. Tutte le uscite erano state sigillate, e il
presunto messicano aveva trascorso tutto questo tempo cercando un modo di
uscire dal palazzo. Ora stava cercando una via di fuga attraverso il condotto
dell’aria, non più sigillato dopo che Fury aveva abortito il protocollo di
sicurezza per permettere a Steve di entrare nell’edificio .
<Tu. Non muoverti.> gli intimò Rogers.
Il terrorista si voltò di scatto, sorpreso di
trovare qualcuno ancora in grado di parlare in quel piano.
<Mister, ognuno di questi uomini e donne è morto
per colpa tua. Hai molto da dover scontare. L’unica cosa che puoi fare è
consegnarti spontaneamente e aiutare a trovare una cura.>
<Scordatelo. L’ultima volta era nel mio
interesse farmi catturare, ma adesso non ti sarà facile sconfiggermi.> disse
Caballero, passando all’attacco. Era vero, il suo stile di combattimento, il
modo di portare i colpi era diverso rispetto l’altra volta; più veloce, più
preciso. Un lottatore più abile rispetto a quello che aveva sconfitto allo
Yankee Stadium. Nulla che l’ex Capitan America non potesse contrastare,
comunque. Nella sua carriera aveva affrontato avversari dai poteri immensamente
superiori, e di certo questo non poteva impensierirlo più di tanto. Parò il
calcio mirato alla testa, e ricambiò con un diretto allo sterno, che lasciò
Manuel senza fiato. Un combattente più spietato avrebbe potuto infierire
sull’avversario, ma Steve gli lasciò il tempo di riprendersi.
<Andiamo. Aiutami a trovare i tuoi compagni e
consegnatevi. Diteci per chi lavorate. Fallo e farò in modo di farvi evitare la pena di morte.>
Lo sguardo negli occhi del suo avversario non
lasciava dubbi, la risposta alla sua proposta era “no”. Quell’uomo non avrebbe
mai ceduto. Si rimise in piedi e tornò ad attaccare, mirando alla gola e agli
occhi; se fosse riuscito a danneggiare la sua maschera, il virus avrebbe fatto
quello che lui non era riuscito a fare: ucciderlo. Ma Steve schivò i suoi colpi, poi decise di
usare le maniere forti, colpendo con un terrificante montante che mandò
nuovamente al tappeto Caballero. Il terrorista si rese conto di non poter
vincere. Troppo forte l’americano. In questi casi c’era solo una cosa da fare,
per un uomo come lui, in situazioni come queste.
<Sto iniziando a perdere la pazienza. Per chi
lavori? Qual è il vostro scopo? Cosa ci trovate di tanto glorioso in una strage
come questa? Quale ideologia malata può giustificare un tale scempio di vite
umane?> gridò Steve a muso duro, afferrandolo per il bavero. <Usi un vecchio alias usato del Barone
Strucker. Ti ha mandato lui? Sei un agente dell’Hydra?>
<L’Hydra, quelli sono solo dei buffoni ed io
lavoro solo coi professionisti.>
<Bene, signor professionista, hai fallito.>
<Fallito? Sì, forse, in questo caso…>
Un agente meno preparato di lui non avrebbe colto
il ticchettio. Era un suono ascendente, sempre più intenso. Voleva dire solo
una cosa.
Con un acrobatico balzo all’indietro Steve evitò di
venire investito dall’esplosione, togliendosi dalla sua portata.
<Pazzo. Ha preferito farsi saltare in aria
piuttosto che rivelare i propri segreti...> esclamò, fissando quel che rimaneva del corpo
consumato dalle fiamme. Impossibile prenderne un campione di sangue.
Nonostante il fumo nero che la detonazione
dell’ordigno aveva provocato, riuscì a scorgere la figura di un uomo correre in
lontananza. Era di certo uno degli altri terroristi. Si stava dirigendo verso
l’ascensore da cui era salito. Lo vide afferrare la giacca appartenente ad una
delle sue vittime, avvolgerla attorno al cavo e calarsi verso il basso.
Il suo primo istinto fu quello di lanciarsi
all’inseguimento, ma poi pensò ad un’alternativa migliore.
<Supersoldato ad Agente
<<Steve!
Ma dove sei??>>
<Sono all’interno del palazzo, non ho tempo di
spiegarti. Tu sei ancora davanti all’ingresso?>
<<Si,
sono qui assieme a Jack e alla Vedova. C’era anche Bucky, ma ne abbiamo perso
le tracce.>>
<Stammi a sentire, uno dei terroristi sta fuggendo
attraverso le fogne. Devi intercettarlo e catturarlo. È immune al virus, ci
serve un campione del suo sangue per poter ricavarne un vaccino.>
Mille domande si accumularono nella mente di Sharon
Carter. Come era arrivato Steve fin lì? Bucky era con lui? Perché il sistema di
sicurezza non era entrato in funzione? Ma non era questo il momento di porsele,
ma quello di agire. Rispose semplicemente “ok” e si mise a correre in direzione
del primo tombino.
<Ehi, adesso dove vai?> urlò Jack.
<Seguitemi!> ordinò Sharon, e sia Nomad che
<Ok dividiamoci. Jack a destra, Yelena a
sinistra. Io proseguirò dritto. Chi
trova il fuggitivo lo catturi. Ci serve vivo, mi raccomando.>
<Non dire altro, Sharon. Te lo porterò qui
bell’impacchettato.> rispose Nomad, seguendo le direttive. La giovane russa
non disse niente, ma nella sua mente pensò di non aver mai visto Jack scattare
con tale entusiasmo ad un ordine del comandante Rogers. Sono quelle cose
piccole cose che non sfuggono ad una donna. O perlomeno, ad alcune. Sharon
invece era talmente concentrata che quasi nemmeno sentì le parole di Nomad.
Andò per la sua strada determinata a fermare il terrorista in fuga. Si sentiva
in parte responsabile del massacro compiuto al palazzo, per non essere riuscita
ad intuire prima il loro vero intento. Doveva rimediare in qualche modo e
aiutare a trovare una cura. Avanzava con la pistola spara-tranquillanti
spianata, pronta a far fuoco. Le fogne non erano certo un posto affollato dove
confondersi con altre persone: chiunque si muovesse in quello spazio, era il
nemico. Si muoveva con circospezione, cercando di scorgere qualche movimento
insolito tra le ombre. Purtroppo per lei, il nemico si aspettava che qualcuno
lo venisse a cercare, e approfittò dell’oscurità per tenderle un agguato. Venne
colpita da un calcio alla schiena che la scaraventò per terra.
<Ha veramente dell’incredibile> disse l’uomo
<Di tutti i maledetti agenti che potevo incontrare nel mezzo di questa fogna
puzzolente, chi ti vado ad incontrare? Proprio te, agente Carter! Quando si
dice il caso... forse siamo destinati ad incrociare le nostre strade...>
<Nessuna coincidenza Ballard. Le fogne sono il
posto giusto se si vuole trovare uno stronzo come te...>
<Mi ferisci Sharon. Non fai altro che insultarmi
e spezzarmi il cuore ... forse dovrei cominciare a ricambiare la cortesia e
spezzarti quel tuo candido collo...>
Fu l’inizio della loro colluttazione. Geoffrey
Ballard era un agente molto in gamba, un avversario da non sottovalutare.
Cercava di imporre la sua forza maggiore durante la lotta, quasi tutti gli
uomini sono soliti farlo, ma Sharon era abituata a quel genere di avversari.
Aveva ben allenato i propri riflessi a situazioni come quella. Evitò un calcio
alto, poi abbassandosi di scatto gli colpì la gamba d’appoggio dietro il
ginocchio, facendogli perdere
l’equilibrio. La brutta botta lasciò Ballard stordito per qualche secondo,
tempo sufficiente alla bionda per essergli addosso e tempestarlo di pugni. Infierì
con forza, sfogando la rabbia che provava nei suoi confronti per la strage
compiuta allo SHIELD, per poi ricomporsi qualche secondo dopo, accorgendosi che
Ballard era ormai privo di sensi. Rifiatò un secondo, per poi prendere il
comunicatore e avvisare gli altri.
<Qui Agente 13. Ho localizzato il nemico e l’ho
catturato. Raggiungetemi, dobbiamo portarlo alla base. Chiudo.>
Nel complesso S.H.I.E.L.D.
Quanto tempo gli
rimaneva prima di assorbire il virus? E se la sua entrata avesse permesso a
quel dannato assassino invisibile di diffondersi oltre i cinque piani ormai
isolati? Forse aveva rischiato troppo. Mentre si faceva queste domande il
Soldato d’Inverno vide l’uomo che si faceva chiamare Ali Bey armeggiare con dei
computer. Che stava facendo? Ma certo: stava cercando di disabilitare il blocco
di sicurezza e se ci fosse riuscito il virus si sarebbe rapidamente diffuso per
tutto il palazzo e poi, forse anche altrove. Doveva impedirlo.
<Ghaznavi.>
chiamò.
Il giovane si
voltò di scatto.
<Dunque sei
davvero tu.> commentò Bucky <Fino all’ultimo ho sperato di
sbagliarmi.>
<Soldato
d’Inverno.> sibilò il giovane <Sei venuto a finire il lavoro del tuo
predecessore uccidendo anche me?>
<Non voglio
ucciderti.> replicò calmo James Barnes <Nessun altro deve morire oggi, ti
prego, arrenditi.>
<Mai.>
Il Soldato
d’Inverno colse a malapena il rapido movimento del suo avversario, ma fu
abbastanza: una micidiale lama saettò a pochi millimetri dal suo viso.
<Questa è la
terza volta che mi fai uno scherzetto simile…> disse <… e non ha
funzionato nemmeno stavolta.>
L’altro tirò fuori
una pistola rubata ad un agente dello S.H.I.E.L.D. e sparò, ma il Soldato
d’Inverno si era già mosso e con una mossa acrobatica d’alta classe evitò il
colpo e piombò sul suo avversario disarmandolo con un calcio ben piazzato.
<Risolviamola a
mani nude.> disse.
Il suo avversario
non parlò a si mise in posizione. Era in gamba, il Soldato lo sapeva e non si
sarebbe fatto cogliere impreparato stavolta.
<Perché>
chiese improvvisamente <Perché sei diventato un assassino? Solo per
vendetta?>
Qualcosa brillò
negli occhi del giovane afgano.
<E non ti
basta? Quelli come te sono venuti da sempre sulla nostra terra perché la
volevano per sé. Hanno ucciso i nostri uomini, violentato le nostre donne,
fatto dei bambini degli orfani. Non credi che sia ora che assaggino la loro
stessa medicina?>
<Allora va
sulle montagne, prendi un fucile, uccidi i soldati. Questo lo capisco. Ma
uccidere gli innocenti come eri tu come può darti gioia?>
<La gioia non
c’entra niente: è solo lavoro.>
Mentre parlavano i
due si scambiavano colpi utilizzando ogni arte marziale conosciuta.
Fin da ragazzino
Bucky Barnes era stato addestrato nel combattimento corpo a corpo e le
pochissime lacune che aveva erano state colmate dall’esperienza sul campo e dal
durissimo addestramento impartitogli dai sovietici quando lo avevano riplasmato
nel Soldato d’Inverno, eppure quest’uomo lo stava facendo faticare non poco.
Chiunque lo avesse allenato lo aveva fatto bene e l’allievo aveva delle forti
motivazioni.
Finalmente Bucky vide
un varco nella difesa avversaria e ne approfittò. Un colpo al mento fece
perdere concentrazione al giovane e subito dopo un altro colpo lo mise
definitivamente fuori combattimento.
Non c’era
soddisfazione nella vittoria, però. Bucky non poteva non pensare che era in
parte colpa sua se il giovane ai suoi piedi era diventato quello che era. Di
quanti altri aveva sconvolto la vita con le sue azioni quando era solo una
marionetta dei sovietici? Aveva paura di scoprirlo.
Da qualche parte in Unione Sovietica. 1964
Il generale Vassily
Karpov guardò per l’ennesima volta il dossier che gli era stato consegnato.
L’idea non gli piaceva molto, ma era anche una sfida interessante dopotutto, un
modo di testare l’efficienza del ragazzo dopo il fiasco di Berlino anni prima.
In ogni caso non era lui
a prendere le decisioni finali.
Premette il tasto di un
interfono.
<Svegliate il Soldato
d’Inverno.> ordinò seccamente,
In un luogo segreto, oggi.
L’uomo aveva un’inquietante
somiglianza con Steve Rogers, erano quasi due gocce d’acqua e ci sarebbe voluto
un osservatore attento per trovare le differenze. Anche i nomi erano simili:
l’uomo si chiamava, infatti, Michael Rogers e sosteneva di essere imparentato
con Steve. Non che interessasse molto ai presenti nell’ampio salone: quasi
tutti loro non sapevano nemmeno dell’esistenza di un uomo di nome Steve Rogers.
Mike li squadrò
uno ad uno: Gail Runciter, risoluta ex agente dello S.H.I.E.L.D. che riteneva
di essere stata troppo facilmente messa da parte dal servizio a cui aveva
dedicato la vita; Frank Simpson, alias Nuke supersoldato tossicodipendente
scaricato dal suo stesso governo; Melina Solokova, Iron Maiden, ex agente
russo, assassina provetta, nascondeva il suo bel viso dietro una maschera di
metallo per ragioni note solo a lei; Frank Bohannon, Crimson Commando, più
cyborg che uomo, un reduce di troppe guerre stanco di essere usato come agnello
sacrificale.
Tutti a vario
titolo degli individualisti ma Mike era sicuro di riuscire a forgiarli in una
squadra imbattibile. Li guardò uno ad uno ancora una volta e quindi cominciò a
parlare:
<Amici… e
amiche. Vi ho fatto venire qui perché siete i migliori combattenti che abbia
mai conosciuto. Alcuni di voi mi hanno conosciuto con svariati nomi, ma sanno
chi sono e che possono fidarsi di me. Tutti noi abbiamo una cosa in comune:
abbiamo servito il nostro paese ma i nostri servigi non sono stati apprezzati
come meritavano. Adesso è ora di dimostrare che non devono sottovalutarci.
Diverremo una squadra d’élite, impareranno a temerci e rispettarci.>
<Per chi
lavoreremo?> chiese Iron Maiden.
<Per noi stessi
e per il miglior offerente, ovvio.>
<Colpiremo i
nemici dell’America?> chiese Nuke.
<Certamente,
Frank, sempre.> Mike si concesse un sorrisetto mentre lo diceva.
<Dammi una
rossa.> chiese Nuke alludendo alle pillole di cui era ormai schiavo.
<Dopo Frank.
Ora ascoltatemi bene: inizieremo un severo programma di allenamenti. Vi voglio
in forma smagliante perché…> il sorriso di Mike divenne smagliante <… la
nostra prima missione inizierà molto presto.>
Base dei Vendicatori
Segreti.
La sala degli
interrogatori, come vuole la tradizione, era buia e solo un faro con una luce a
“occhio di bue” illuminava il prigioniero. Ballard era seduto su di una sedia,
ammanettato. Steve Rogers e il resto della sua squadra erano in piedi dinnanzi
a lui.
<Non preoccuparti
ragazzo, è immobilizzato. Preleva pure quel campione di sangue, non ti
succederà nulla.> disse Steve ad Amadeus Cho. Con le garanzie avute dal suo
comandante il ragazzo si avvicinò al prigioniero e gli infilò un ago nel
bicipite gonfio, riempiendo una sacca di plastica col suo sangue.
<Ben fatto. Ora
va al laboratori e mettilo in una scatola sigillata. Dobbiamo farla avere al
colonnello Fury. Lui la porterà al dottor Pym e al dottor McCoy, e sono certo
che saranno in grado di ricavarne un vaccino.>
Poi si rivolse a
Ballard.
<Ora
occupiamoci di te. I tuoi compagni sono morti,
sei rimasto solo. Ti aspetta una cella da cui non uscirai per tanto
tempo. Se collaborerai, rivelandoci per chi lavori e quale fosse il vostro
piano, potrò mettere una buona parola per te presso le autorità.>
<Fottiti
biondo. Non ho nulla da dirti.>
Il solito,
arrogante Ballard, stava pensando Sharon. Non avrebbe mai ceduto alle tecniche
tradizionali di interrogatorio, ma bisognava farlo parlare, doveva esserci un
modo e spettava a lei provvedere. Si avvicinò all’uomo che per buona parte
della sua vita era stato il più importante per lei:
<Steve, posso
parlarti in privato un minuto?>
Rogers rimase a
fissare in faccia Ballard con aria minacciosa, irritato dalla sua arroganza.
<Si, Sharon,
vengo subito.>
<Io lo conosco,
so come fargli sciogliere la lingua> disse lei < Ma per farlo ho bisogno
del vostro aiuto...>
<Cos’hai in
mente? Un bluff?> chiese
<Qualcosa di
simile, in effetti. Venite con me.>
Li fece accomodare
fuori dalla stanza, dopodiché una volta sola, si mise a digitare un codice
sulla tastiera della porta automatica.
<Sharon! Cosa
stai facendo?> chiese Steve.
<Mi dispiace,
comandante, ma quanto sto per fare non rientra nel protocollo...>
<SHARON! Apri immediatamente
questa porta!> gridò ancora lui, picchiando il pugno contro la parete
metallica che li separava.
<Così siamo
ancora da soli... cos’è credi che mi beva queste sceneggiate? Ero alla CIA
quando ancora eri una recluta, miss Carter ... certi trucchetti non funzionano
con me.>
<Nessun trucco,
Ballard, credimi. Solo un classico pestaggio all’antica.> così dicendo la
ragazza gli sferrò un violento calcio al volto, facendolo cadere a terra.
Attraverso il
vetro a specchi Steve, Jack, Yelena e Bucky potevano osservare il pestaggio.
<Ballard, è
meglio che inizi a parlare o ti garantisco che mangerai con una cannuccia per
il resto della tua schifosa vita! Per chi lavori, bastardo? Dove si nascondono
i tuoi capi? PARLA!> e lo colpì con la punta dello stivale alla bocca dello
stomaco. Poi lo afferrò per i capelli e gli sbattè il viso contro il pavimento.
Steve era sorpreso
di quanta crudeltà la sua ex ragazza potesse riservare verso un prigioniero
immobilizzato. Non riusciva a riconoscerla. Da dove veniva tutta quella rabbia,
tutto quel risentimento?
<Steve, ho una
carica. Posso fare saltare la porta, se occorre.>
<No Buck,
rischieremmo di ferire lei e il prigioniero ... e Sharon lo sa. Ne sta
approfittando.> rispose lui, arrabbiato.
<Yelena, va a
chiamare Amadeus! Lui sarà in grado di aprirla.>
<Vado.>
rispose la ragazza, e mentre si dirigeva verso il laboratorio, dentro di se
ammirava l’astuzia con cui
I ricordi del
Soldato d’Inverno risalenti al periodo sovietico gli permisero di rammentare
benissimo interrogatori portati avanti in questo modo. Era una prassi di
routine alla Lubianka[2].
Rammentava di quanti uomini aveva massacrato in quel modo anche lui. Era come
rivedersi attraverso un oscuro riflesso, e la cosa non lo faceva stare bene.
Ballard era ormai una maschera di sangue. Sharon continuava a colpirlo con
estrema violenza, ma continuava a tacere.
<Ok allora,
cambiamo sistema allora ...>
Sharon estrasse
dalla fondina la pistola, e gli sparò in una spalla.
<AAAAAARGH!!>
Ballard strillò per il dolore.
<NO!> gridò
Steve dall’altra parte dello specchio.
<Adesso ascoltami
bene; o cominci a vuotare il sacco, e io ti faccio medicare la spalla, oppure
lo giuro su Dio Geoffrey, ti lascio morire dissanguato qui sul pavimento. Sai
che dico sul serio. A te la scelta.>
Dopo uno
straziante lamento, l’ex agente della CIA ormai agonizzante sospiro un
“parlerò” e iniziò a vuotare il sacco. Sharon prese tutti i dettagli su di un
taccuino.
Proprio in quel
momento, Amadeus riuscì ad aprire la porta e Steve e la sua squadra si
precipitarono dentro.
<Voglio che
quest’uomo riceva immediatamente soccorso medico! Portatelo in infermeria!
ADESSO!> ruggì Steve, e Yelena, Cho e Bucky
scattarono eseguendo l’ordine.
<Ma che diavolo
t’è preso?> disse Rogers a Sharon, fissandola negli occhi a muso duro
<Dove diavolo hai imparato queste tecniche da Gestapo? Noi non agiamo così,
Sharon! Da questo momento sei fuori dalla squadra, con effetto immediato!>
<Oh ma falla
finita, Rogers! Con i tuoi modi da chierichetto non saresti mai riuscito a
farlo parlare! Ho imparato come interrogare un prigioniero riluttante in
Nicaragua, durante i miei anni come soldato di ventura. Ora abbiamo tutto
quello che ci serve, nero su bianco! Leggi qui! Sappiamo dove si nascondono e
cosa stanno facendo! Dobbiamo soltanto raggiungerli e ...>
<Tu non farai
un bel niente, Carter. Il tuo ultimo compito sarà portare il campione di sangue
sull’Eliveicolo, dopo di che sei fuori!>
Lo sguardo di
Sharon era furente.
<Questo
bastardo ha ucciso decine di miei
colleghi. Alcuni erano anche miei amici. Senza contare quello che m’ha fatto in
passato... e tu avresti voluto che fossi caritatevole con lui? Eh?>
<Non è una
buona scusa Sharon. Tu sei meglio di così... almeno credevo.>
<Mi sa che ti
sbagliavi sul mio conto, allora ...> disse lei, abbandonando la stanza.
<Lo credo
anch’io...> rispose Steve, amareggiato.
Jack rimase a
guardare, senza dire una parola. Era sorpreso dall’atteggiamento di Sharon:
nemmeno lui, nei suoi giorni da girovago ribelle, aveva mai avuto l’ardire di
sfidare così apertamente Steve. La cosa non fece altro che aumentare
l’attrazione che già provava per la bionda. Pur ammirando Steve con tutto il
suo cuore, Jack non riusciva a comprendere quei metodi da boy scout. Anche lui
aveva atteggiamenti decisamente più duri quando combatteva il crimine per conto
suo. Per questo motivo, oltre per smettere di stare sotto la sua ala
protettiva, Nomad aveva smesso di essere il partner di Capitan America. Anche
la russa, sapeva, la pensava allo stesso modo, e che dire di Bucky... già una
volta aveva violato la regola di Steve sull’uso della forza letale.
Cosa sarebbe successo, da questo momento in
poi? La leadership di Steve sarebbe stata messa in discussione? Fury lo avrebbe
destituito dal comando? E tra lui e Sharon era una rottura definitiva? Questo
significava che per Jack Monroe era il momento opportuno per farsi avanti con
la bella agente 13?
Erano tutte
domande che presto o tardi avrebbero avuto una risposta.
Ma adesso c’era
ancora una missione da portare a termine.
<Jack.> lo
richiamò Steve.
<Uh si... che
c’è?>
<Non appena
Ballard sarà fuori pericolo, dì ad Amadeus di portarlo al pronto soccorso.
Intanto tu e Yelena preparatevi; passiamo all’attacco.
<Si, Steve.>
rispose lui, recandosi in infermeria.
<Non significa
niente per loro> pensò Steve una volta rimasto solo, fissando il notes di
appunti di Sharon <Vincere con le mani pulite, non venire meno ai proprio
principi ... nulla. Per loro conta solo ottenere i risultati, non importa che
prezzo. Ma il fine non giustifica mai i mezzi. Non capiscono che ogni volta che
vinciamo in questo modo, abbassandoci al livello del nemico, perdiamo
qualcos’altro... la nostra dignità, la
nostra umanità? Ma dove ho sbagliato,
con quei ragazzi?> si domandò Steve fra sé e sé.
Laboratorio
dello Xavier Institute for Higher Learning
Qualcuno tendeva a
dimenticarselo a volte, ma sotto l’aspetto di antropoide dal pelo blu di Henry
McCoy, meglio noto come
<Affascinante.>
borbottò tra sé e sé dopo l’ennesimo esame dei campioni portatili dallo
S.H.I.E.L.D. <Chi ha creato questo
virus è davvero un genio, un genio del male, ma comunque un genio,
tuttavia…>
Hank si mise in
contatto con la costa opposta degli Stati Uniti, in un laboratorio sito in una
certa tenuta in California, dove risiedeva un altro genio scientifico e
supereroe il cui nome, per pura coincidenza, è ugualmente Henry.
<Volevo
confrontare i nostri risultati.> disse.
Dal suo
laboratorio nell’hacienda dei Vendicatori a Palos Verdes, Contea di Los
Angeles, Henry Pym, il supereroe noto come Calabrone rispose:
<<C’è poco da dire, Hank… concordo con
i tuoi risultati: è un virus mutageno. Chi lo ha creato ha fatto in modo che la
sua struttura mutasse in continuazione e fosse quasi impossibile creare un
antidoto.>>
<Noto con
piacere che hai detto quasi.>
<<Monica Rappaccini è in gamba, ma io
lo sono… noi lo siamo di più.>>
<Evviva la
modestia.>
<<Non abbiamo tempo per queste
sciocchezze. Sei d’accordo con me che la cura che abbiamo trovato può
funzionare?>>
<In teoria sì,
ma dovremmo verificarla con una serie di esperimenti che …>
<<… che non abbiamo il tempo di fare,
lo so. Possiamo solo sperare che funzioni.>
<Amen.> fu
il commento finale di Hank McCoy.
Pochi minuti più
tardi un certo pacchetto venne preso in consegna da Dum Dum Dugan in persona e fatto
discretamente pervenire al quartier generale dei Vendicatori Segreti
Da vari notiziari TV e Web.
Ultim’ora: terroristi non identificati hanno
liberato un misterioso virus nel Quartier Generale dello S.H.I.E.L.D. Stando a
quanto siamo riusciti a sapere, quasi tutti coloro che si trovavano all’interno
dell’edificio sono rimasti uccisi. Si parla di centinaia di morti, forse
migliaia in modo orribile tra agenti operativi e personale di supporto.
La più grave tragedia da quando…
Da qualche parte sopra
l’Oceano Atlantico
Non capitava tutti
i giorni di potersene andare in giro su una Porsche Carrera volante ma Jack
Monroe si sarebbe goduto di più il viaggio se lui, Steve e Yelena non fossero
stati sul punto di ficcarsi in un’isola volante di piena di supercriminali e
mercenari super addestrati. Ripensandoci era ordinaria amministrazione per lui
sin da quando aveva 12 anni. Sorrise, ma con la maschera a coprirgli la metà inferiore
del volto nessuno poteva accorgersene.
<Siamo
arrivati.> disse Steve <Ora scopriremo se l’agente Ballard ha detto la
verità sulle difese dell’isola o se stiamo per cadere in un’altra trappola.>
<Per fortuna ho
appena rinnovato la mia assicurazione medica.> disse, facendo un po’ lo
spaccone, Nomad.
<Squallido
umorismo americano.> commentò.
Steve non disse
niente, stava ancora pensando al comportamento di Sharon. Sapeva che era
cambiata dai vecchi tempi, che qualcosa accaduto durante le sue missioni
segrete quando la credeva morta l’aveva resa più dura, ma aveva sperato che le
cose stessero cambiando e che forse…
No, inutile, pensarci
adesso. Fissò i suoi due compagni di viaggio. Yelena la pensava come Sharon, ne
era certo, ma Jack? Possibile che quel ragazzo stesse regredendo ai suoi giorni
più selvaggi? Che fare con lui?
<Io vado.>
disse <Voi sapete cosa dovete fare.>
Saltò dall’auto e
per quella che agli osservatori sembrò quasi un’eternità fluttuò in aria e
cominciò a precipitare verso quella che non poteva che essere morte certa, poi
sotto le ascelle spuntarono delle specie di ali e lui cominciò a planare come
un deltaplano.
<O è l’uomo più
coraggioso che conosca o è completamente pazzo.> commentò
<È molte cose,
ma non un pazzo.> replicò Nomad <Forse è il più sano di mente tra
noi.>
L’auditorium
dell’isola dell’A.I.D. era praticamente pieno: nelle prime file ad ascoltare
<Dunque,
signori…> disse cercando di non assumere il tono da maestra che parla ad
alunni tardi di comprendonio. Meglio tenersi buoni dei potenziali compratori
<… avete sentito le notizie ed ora sapete cosa può fare il mio virus AZ1.
Un’efficienza del 98% non la troverete altrove. Immaginate se fosse liberato in
un’area densamente popolata o in un’installazione militare. Il mio prezzo base
è dieci milioni di dollari con rialzi di un milione. Chi vuol fare la prima
offerta?>
In quel
momento ci fu un rumore assordante ed
una parete saltò in aria.
Grida, pezzi di
parete che saltavano dovunque.
Monica Rappaccini
era sconcertata: chi poteva aver individuato il suo rifugio e superato le sue
difese? Che uno dei suoi “ospiti” stesse giocandole qualche tiro? Non esattamente
improbabile ma…
<Ti consiglio
di non muoverti.>
La voce era
maschile, un uomo giovane ma deciso. Abbastanza da arrivare non visto alle sue
spalle e puntarle una pistola alla nuca. Chi poteva essere? Era lui il responsabile dell’esplosione?
<Una pistola,
non è un po’ demodé di questi tempi?> chiese con apparente calma.
<Può darsi che lo sembri a chi è solito usare pistole a
raggi e diavolerie simili , ma sa fare il suo lavoro.> ribatté l’altro.
Aveva indovinato:
era giovane, tra i venti e i trenta così a occhio, e bello, alto, fisico
slanciato ed asciutto, muscoli tonici, il braccio sinistro aveva qualcosa di
strano, bionico forse? Indossava una specie di tuta scura con delle decorazioni
a forma di stella e nascondeva il volto dietro una mascherina stile domino.
<Tu non mi
sparerai.> affermò la scienziata <Sei un supereroe ed i supereroi non
uccidono.>
<Chi ha detto
che sono un supereroe?> replicò il suo antagonista e sparò.
Dalla parte
opposta della sala, intanto i potenziali acquirenti cercavano di mettersi in
salvo cercando di raggiungere l’uscita, ma la loro strada venne sbarrata da
Nomad e
<Dio non
ricordo di aver visto tante canaglie tutte insieme ... li riconosci Vedova?>
<Da. Quasi
tutti almeno. U.L.T.I.M.A.T.U.M., Hydra, A.I.M. ... esponenti del Maggia, della
Mano ... l’elenco è lungo.>
<Insomma un
sacco di rifiuti. Beh direi che è il caso di buttare la spazzatura, che ne
dici?>
Il lieve ronzio
dei suoi bracciali tecnologici anticipò la sua risposta.
<Coraggio
muoviamoci.>
<Sono solo in
due!> gridò l’uomo dell’Hydra e incoraggiati da lui, tutti si avventarono
addosso a loro, ma per entrambi non presentava un problema dover affrontare una
stanza piena di avversari, specie se disarmati; si perché, per loro fortuna,
anche i criminali hanno le loro regole, una delle quali impone non portare armi
ad incontri come questo.
<Maledizione, è
una retata!
<Spiacente
amico, i nostri cervelloni sono più in gamba dei vostri.> gli disse
beffardo.
Effettivamente il criminale
aveva ragione; l’isola era in realtà una sofisticata base volante dotata di
sistemi anti intrusi all’avanguardia, ma grazie al brillante genio di Amadeus
Cho, la squadra di Steve era riuscita a neutralizzarle immettendo un virus
elettronico in grado di mandare in tilt tutte le apparecchiature elettroniche
della struttura. Lo stesso da cui neppure Machinesmith era riuscito a
difendersi.[3]
E mentre i due
sistemavano i terroristi, il loro capo si dirigeva verso la sala comandi. Una
volta che Ballard aveva dato le coordinate della base, era stato semplice per
Steve accedere alle riprese satellitari dello S.H.I.E.L.D. e tracciare una
piantina della base. Il suo obiettivo era distruggerli in modo che non
potessero più creare un’arma così terribile come il virus AZ1, che già troppi
morti aveva causato. Arrivò planando grazie alle “ali ascellari”che rientrarono
non appena Steve toccò terra, poi si mosse silenzioso e furtivo tra la
vegetazione. Arrivò verso il punto stabilito. Si nascose dietro quello che aveva
l’apparenza di essere un albero. Davanti a lui c’era la sala comandi, con due
uomini di guardia. Steve li osservò bene: avevano la stessa uniforme da
“apicoltore” che avevano quelli dell’A.I.M. ma anziché essere gialla, era nera.
Una frangia separatista? Tornava con le informazioni di Ballard. Impugnò la sua
pistola a dardi stordenti, prese la mira e sparò alle due guardie; i
tranquillanti fecero effetto in pochi secondi, mandandoli K.O.
Steve penetrò
nell’edificio. Al momento non vi era nessuno all’interno. “Meglio così” pensò,
mentre dalla sua cintura porta oggetti estrasse i componenti del congegno che
Amadeus aveva costruito per lui.
<Una volta
assemblato ed acceso, comandante…> ripensava alle parole del brillante
ragazzo <... provocherà l’inversione della polarità magnetica dei motori che
sostengono l’isola e la riabbasserà
gradatamente fino a portarla al livello dell’oceano. Semplice e indolore.>
Purché tutto fosse andato bene e Steve sapeva bene
che i piani migliori degli uomini e dei topi spesso vanno in rovina.
Proprio mentre
collocava ed attivava il congegno, sentì arrivare alle sue spalle degli uomini.
<TU! FERMO!>
gridò uno di questi, puntandogli contro un fucile.
Steve si voltò si
scatto, gli uomini allora cominciarono a sparare nella sua direzione: erano
colpi al plasma, letali, ma con acrobazie talmente rapide quasi da non essere
colte, Steve evitò la prima raffica, per poi proteggersi dalla seconda con il
suo scudo energetico. In pochi secondi si avventò su di loro, abbattendoli ad
uno ad uno con mosse precise e potenti; nessuno ovviamente riuscì a
contrastarlo.
Disarmò l’ultimo
di essi senza fargli perdere i sensi, lo privò dell’elmetto e lo interrogò:
<Chi è che
comanda qui? Dov’è adesso> disse adirato. Il suo avversario era troppo spaventato
per porre resistenza.
<La
do-dottoressa R-Rappaccini... è nel salone> rispose, prima che Steve lo
mandasse tra le braccia di Morfeo. Anche l’ultimo tassello tornava, quindi.
Proprio in quel
momento si udì una sorta di gemito provenire dalla consolle comandi seguito da un tremito. Una sirena cominciò a
suonare e una voce elettronica disse:
<<Sequenza di autodistruzione attivata.
Venti minuti per l’evacuazione totale.>>
Qualcosa era
andato davvero storto.
Bucky Barnes
sorrise mentre Monica Rappaccini si portava istintivamente la mano sinistra
verso la spalla destra a sorreggere un braccio diventato di colpo un peso
morto.
<Pistola
taser.> spiegò <Ti spara una scarica elettrica paralizzante analoga al
Morso di Vedova della Vedova Nera. Un gioiellino fabbricato da un mio amico.
Non ho mai detto che ti avrei ucciso. >
<Sei sicuro di
te, vedo.> replicò la scienziata <E se ti dicessi che ho appena liberato
un campione del mio virus letale che tenevo in una finta capsula dentaria?>
<Ti direi che
non me ne importa, io ed i miei compagni siamo stati vaccinati contro il tuo
virus prima di venir qui e, visto che sono ancora vivo, direi che il vaccino
funziona.>
<Cosa? Come?
Non doveva essere possibile!>
<Ma lo è.
Evidentemente non sei così infallibile come ti piace crederti. Ora, ti prego,
vieni con me da brava, non voglio spararti ancora.>
In quel momento
l’isola tremò. Il Soldato d’Inverno
perse l’equilibrio e
Qualcosa aveva
attivato la sequenza di autodistruzione. Aveva circa un quarto d’ora per
raggiungere una navicella e salvarsi. Gli altri si arrangiassero come potevano,
non la riguardava. Mentre correva la sensibilità le stava tornando nel braccio
destro.
Aveva appena
percorso pochi metri, però, che un uomo in tuta blu le si parò davanti.
<Temo per lei
che non andrà da nessuna parte dottoressa.> le si rivolse Steve Rogers.
<Niente da fare
dottoressa.> disse questi.
La donna girò
alternativamente la testa dall’uno all’altro dei suoi due nemici. Era in
trappola, non poteva accettarlo.
<No, non può
finire così!> esclamò lei saltando addosso
a Steve, che, dopo un attimo di sorpresa, le bloccò i polsi in una presa
ferrea.
<Qualcosa mi
dice che le sue unghie sono intrise di veleno, dottoressa, mi sbaglio?>
Nessuna risposta,
solo uno sguardo feroce. Senza lasciare la presa Steve girò la donna su se
stessa torcendole le braccia dietro la schiena.
<Non provi a
liberarsi.> l’avvertì <Non ci riuscirebbe e si farebbe solo male.>
Ma proprio in quel
momento ecco un boato seguito da una scossa, più forte della precedente, che
scardinò il pavimento di metallo aprendo un’enorme varco. Steve perse la presa
sulla sua avversaria e la donna venne
inghiottita nel baratro; ebbe appena il tempo di vederla scomparire al di sotto
delle nubi che Bucky lo riscosse:
<Salta Steve,
salta!>
L’uomo che era
stato Capitan America non esitò e fece un balzo che gli permise di superare la
voragine che si stava allargando. Il
Soldato d’Inverno fu lesto ad afferrargli il polso aiutandolo a stabilizzarsi.
<Scappiamo>
gli disse <Qui sta cadendo tutto a pezzi.>
Corsero più forte
che poterono e giunsero finalmente nel salone dove la battaglia era ormai
cessata e tutti correvano per salvarsi. Ma dov’erano Nomad e
<Steve, Buck...
da questa parte.> era la voce di Jack Monroe.
L’auto volante era
appena fuori da uno squarcio su una delle pareti che stavano rapidamente
crollando.
I due vecchi
compagni d’avventura non si fecero pregare e saltarono a bordo della vettura.
<Tenetevi
saldi.> li invitò Jack mentre l’auto si allontanava giusto in tempo.
Con quello che
sembrava un ruggito l’isola crollò definitivamente.
<Beh, non c’è
che dire, Steve…> commentò Nomad <Nessuno sa distruggere le cose con la
tua classe.>
<Che ne è stato
degli acquirenti?> gli chiese Steve.
<Appena l’isola
s’è messa a tremare hanno raggiunto i loro mezzi e sono fuggiti come topi.>
rispose Jack.
<Se non altro
abbiamo eliminato per sempre la minaccia della Rappaccini.> aggiunse Yelena.
<Non ne sarei
così sicuro.> replicò Steve <Quelli come lei hanno un talento innato per
sopravvivere in condizioni impossibili.>
<Ma è una donna
comune, come potrebbe sopravvivere ad una caduta di
Tre paia di occhi
la fissarono eloquenti.
<Magari aveva
un jetpack sotto la gonna, chi può saperlo?> disse Bucky con un sogghigno.
<Sta scherzando,
vero?>
Nessuno le
rispose.
Connecticut, appartamento
del Professor Steve Rogers.
Steve era di
cattivo umore. Si sbarazzò del costume e
lo ficcò in lavatrice, poi si fiondò sotto la doccia e ci restò dieci minuti
alternando acqua calda e acqua fredda . I suoi pensieri tornavano
invariabilmente a Sharon ed a quello che aveva fatto , a quello che c’era stato
tra loro e avrebbe forse potuto esserci ancora ma il suo comportamento aveva
rovinato tutto. Ora c’erano delle decisioni da prendere e tutte dolorose. Uscì dalla doccia e si infilò un accappatoio,
poi andò in cucina e tirò fuori dal frigo qualcosa da scaldare al microonde per
cena. Accese
La voce dalla TV gli
fece passare l’appetito.
<<… saltato in aria la sede del
F.B.S.A. a Washington. I testimoni parlano di due esplosioni quasi simultanee…
si stava svolgendo l’autopsia di due cadaveri identificati come i supereroi
patriottici Spirito Libero e Jack Flag… nuove esplosioni a causa delle fughe di
gas… Capitan America disperso… ritrovato solo lo scudo… ripeto: Capitan America
disperso, presumibilmente morto.>>
<NO!> urlò
Steve.
FINE
NOTE DEGLI AUTORI
Nulla di veramente importante da dire su
quest’episodio se non che con il finale ci ricolleghiamo a Capitan America 50.
Nel prossimo episodio: Sharon Carter alle
prese con le conseguenze delle sue azioni, Steve Rogers viene a patti con la
presunta morte di Capitan America e molto, davvero molto altro.
Carlo & Carmelo